Commento dei critici
CAOS DI VALERIO DEHO’ – BOLOGNA 2006
- Critico: VALERIO DEHO’
- Anno: 2006
- Olio su tela
All’interno della vasta espressività di Stefano Fanara, artista proteiforme che spazia dalle tecniche digitali alla pittura, la serie di dipinti intitolata “Caos” appare quella in cui probabilmente si concentra un’energia psichica direttamente in contatto con il vissuto dell’artista stesso. Del resto è la natura stessa della pittura informale, secondo la celebre definizione di Michel Tapié del 1951, che crea questo straordinario collegamento tra la mente e la mano di chi dipinge. Puntando, oltre il significante, ad una forma significativa ma che non può mai sostanziarsi nella semiotica del segno, l’informale è una forma d’automatismo psichico in cui il mondo delle immagini viene sostituito da quello libido-energetico. Voglio dire che l’artista non attinge al mondo della rappresentazione, ma a quello inconscio perché solo in questo modo l’energia rimane inalterata fino al suo sostanziarsi nella materia del colore e nel gesto della pennellata.
Anche prima Fanara ha sempre teso a non sottrarre nel passaggio dalla mente alla mano, quell’azione fondamentale di un bisogno al limite dell’esistenziale. Ma certamente in questi lavori più recenti, l’approccio è immediato a proseguire l’esperienza informale, in senso classico come progressivo allontanamento dalla sfera dell’organizzazione visuale e razionale, e anche propedeutico ad una visione ulteriore e comunque istintiva. La realtà ammessa come dato germinale, svela soltanto le sue potenzialità d’energia psichica che vuole tramutarsi nell’alchimia del gesto artistico. Appare chiaro come Fanara con “Caos” attinge a risorse oscure all’epitalamo della pittura che non vuole essere altro da sé, ma cerca un’ostentazione che non ammette ritardi né ripensamenti. Bisogno, necessità, altre sintesi di questo tipo astratto trovano una loro corrispondenza nell’intermedia tra l’approccio istintuale alla determinazione di una possibile poetica e la capacità di riflettere la pittura come specchio denso e oscuro della propria anima. In fondo la ricerca di Fanara, seppur in uno sperimentalismo errante quanto ultimativo, cerca sempre le proprie s/ragioni nel dipingere non solo come diario intimo, come sketchbook della deriva psichica, ma anche come ancoraggio propriocettivo. La pittura è specchio anche quando manifesta il caos che non ha alcun valore negativo, in quanto al contrario appartiene a quel ricercare che è fondamento di luce e di èclarage.
Infatti, l’artista sembra preferire un procedimento creativo basato interamente sull’intuito. La poetica del fare e di lasciare che le forme si condensino in modo quasi spontaneo eppure mai casuale, dando vita ad una sorta d’incubazione della rivelazione a posteriori. Quello di Stefano Fanara è un lavoro legato agli stati d’animo che si legano alle relazioni affettive, alle visioni individuali di una sensibilità che riesce sempre ad andare oltre l’immaginazione. I suoi quadri sono concentrazioni dinamiche d’energia e questo è evidente dal senso rotatorio che spesso prende il ductus della pennellata. Non si tratta di focalizzare l’occhio verso il centro in quanto non vi sono valori formali da accentuare, se non proprio dare vitalità ad una significatività totale che è relazione mente-corpo.
E’ la primarietà di questa esperienza che sembra che Fanara ponga in evidenza, prima ancora che ogni legame emotivo con la storia. La sua modalità densa e gestuale è rivolta a porre in evidenza il passaggio tra l’emozione e il pensiero sull’arte. Questa pittura intensa e drammatica è un Maelstrom da cui farsi attrarre per cercare una porta di comunicazione verso una conoscenza sempre più vera e chiara, che non ha bisogno di particolari né di dettagli. Una pittura che va oltre le cose e punta direttamente a quello che rimane dopo che la sensibilità si è sublimata in quello che è maggiormente importante, che non è ulteriormente riducibile. E’ quindi il risultato di una creatività liberata dai sensi, anche se è dai sensi che proviene, perché trae forza dai rizomi energetici a cui possiamo ricorrere solo nei momenti più difficili della nostra esistenza. E questa è una caratteristica della poetica di Stefano Fanara che riesce sempre a liberare l’espressività e farla diventare arte, anche nelle situazioni più estreme proprio perché la considera esperienza e come tale entra a far parte direttamente del suo vissuto. Allora la tela si carica di una sostanza magmatica che ha spessore, volume, plasticità, organicità e disordine: è quindi esistenza allo stato puro.